Guerra e Pace

Guerra e diamanti

La questione dei diamanti di guerra non è mai stata più attuale.

Nei decenni passati si è lavorato molto per debellare questa piaga dal mercato delle gemme.

Grazie al Kimberley Process, l’accordo internazionale che blocca il commercio dei diamanti che arrivano dalle zone di guerra, il 99,8% dei diamanti in commercio è etico.

Il problema però, proprio come il diavolo, si nasconde nei dettagli.

Cosa fare se i diamanti non arrivano da una zona di guerra ma uno dei belligeranti ne è un grosso produttore?

Come comportarsi quando la situazione è più intricata del proverbiale “nodo di Gordio”?

A mio parere basta seguire lo spirito dell’accordo

e non barricarsi dietro la lettera delle disposizioni.

L’idea che ha ispirato questo accordo è semplice. I soldi spesi per un bene non devono alimentare guerre, sfruttamenti o sofferenze nei paesi dai quali questi beni provengono o sono lavorati.

Per quanto possa sembrare utopistica questa è un’idea che dovrebbe essere applicata in tutti i campi dell’economia e della finanza.

Questo però ci porterebbe a riconoscere una triste realtà: il benessere del quale godiamo è in parte fondato sulla sofferenza di qualcun altro.

Se applicassimo coerentemente i principi morali dovremmo smettere di acquistare gas, petrolio, legname e diamanti dalla Russia, importare materie prime dall’Africa, rinunciare a produrre in Cina e in estremo oriente.

La cosa sarebbe semplicemente impossibile. Quindi, prima di giudicare, dovremmo analizzare le nostre reali possibilità di azione. Qual è il prezzo che siamo veramente disposti a pagare in nome dei principi che vogliamo difendere?

I diamanti di guerra sono stati una grossa minaccia per il mercato, sia sul fronte etico che commerciale.

Scoperti dal pubblico solo nel 2006 grazie al film di Edward Zwick con Leonardo DiCaprio erano già nel mirino delle autorità e delle industrie da molti anni.

I primi accordi risalgono al 2000 e sono diventati operativi nel 2002.

Oggi il conflitto tra Russia e Ucraina ci pone di fronte a nuove scelte.

La lettera delle disposizioni internazionali vieta la commercializzazione delle pietre scavate e tagliate in Russia, mentre nulla dice delle gemme scavate in Russia ma lavorate altrove.

Personalmente trovo ridicola questa normativa, specialmente se penso che l’80 90% di tutti i diamanti estratti è tagliato in India, nel distretto di Surat!

Come in molti altri settori le sanzioni contro la Russia hanno lasciato spiragli per aggirarle grandi come portoni.

Fortunatamente il commercio dei diamanti pare stia

seguendo più lo spirito che la lettera delle disposizioni.

Praticamente tutti i marchi famosi hanno interrotto sia le vendite in Russia sia gli acquisti delle loro gemme, indipendentemente da dove sono state tagliate.

I grossisti che trattavano pietre russe sono stati isolati e potranno rivolgersi al solo mercato interno.

Non che questo faccia una sostanziale differenza nel conflitto o eserciti chissà quale pressione ma, almeno questa volta, il comportamento dell’economia mi sembra coerente con i principi e non succube del solo interesse economico.

Un altro aspetto molto interessante è l’andamento dei prezzi dei diamanti.

Nello scorso articolo vi dicevo che gli ultimi aumenti non erano correlati con la guerra, dopo oltre un mese di conflitto posso confermare questa notizia.

Gli aumenti ci sono stati, ma sin dallo scorso anno e sono stati causati dall’aumento della domanda, non dalla speculazione.

Nelle ultime tre settimane non solo i prezzi di listino sono rimasti stabili ma a il prezzo del grezzo è leggermente calato.

Calo fisiologico dovuto alla riduzione della domanda dopo i consistenti acquisti dei mesi passati per aumentare le scorte.

Come ho affermato più volte un bene è considerabile un rifugio di valore solo se non ha quotazioni troppo ballerine e se il suo trend non replica le fibrillazioni del mercato.

A quanto pare i diamanti stanno rispettando queste regole, confermandosi tra i migliori beni rifugio.

Se volete capire meglio i dettagli del mercato delle pietre preziose iscrivetevi alla mia newsletter.

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Alla prossima,

Paolo Genta

Economia di guerra

Economia di guerra

L’economia di guerra era un argomento che mi andava benissimo relegato nei libri che ho letto.

Non che nel corso della mia vita siano mancate le opportunità di vederla dal vivo, anche molto più vicina a noi di quanto non sembri quella Ucraina (ricordate la Jugoslavia?) ma sinceramente mi illudevo che la specie umana avesse imparato qualcosina in più.

Provando a fare l’impossibile, cioè non considerare per un attimo la tragedia umana che si sta consumando, svariate sono le considerazioni da fare sul nostro comportamento.

Nei mesi passati avevo scritto molto sul ritorno dell’inflazione anche se certo non pensavo che una delle cause sarebbe stata una guerra. Tuttavia adesso è qui e dobbiamo farci i conti.

La situazione geopolitica è stata solo il detonatore, i segnali erano già presenti ben prima del precipitare degli eventi.

La ripartenza ha aumentato la domanda di prodotti e servizi, le norme sanitarie hanno ostacolato le forniture di alcuni beni e la follia di questo conflitto poi è stata la proverbiale goccia ma siamo noi i veri maestri nel crearci situazioni impossibili.

I folli rincari di molti beni hanno pochi fondamenti nella realtà e moltissimi nella speculazione.

Economia e finanza

Se da un lato i mercati finanziari sono vitali per il nostro mondo in alcuni casi diventano letali.

Se in borsa si scambiano prodotti per decine o centinaia di volte il reale fabbisogno della merce che rappresentano allora qualcosa non torna.

Come per l’oro: se la quotazione dovesse rispecchiare il valore degli strumenti finanziari che lo rappresentano, sarebbe di 65.000 €/gr e non 60!

Se valutiamo quindi gli aumenti di petrolio, gas e energia in base ai movimenti finanziari la questione inizia ad assumere nuovi contorni.

La finanza è una formidabile alleata dell’economia reale, sono sinergiche e inseparabili ma, quando va fuori controllo, rischia di annientarla.

Purtroppo siamo bravissimi a lamentarci degli aumenti ma non altrettanto a cercare alternative o a ostacolarli.

Non sempre è possibile evitarli, ma spesso li accettiamo per lamentarci solo dopo.

Speculazione

Ricordiamoci anche che la finanza non è l’unica responsabile dell’esplosione dei prezzi in realtà siamo noi a voler speculare.

Mi è successo giusto pochi giorni fa: per un lavoro a casa ho chiesto a un rivenditore il preventivo per due bancali di materiale.

Fatte le opportune verifiche e preparato il lavoro in fase d’ordine, una settimana dopo, mi è stato chiesto il 22% in più, con la motivazione che tutto cresce, che con il 110% non si trova nulla e che la guerra fa crescere i prezzi.

Dopo un attimo di sorpresa ho chiesto se fosse uno scherzo e dopo poche battute ho chiuso la telefonata.

Ho rinunciato al lavoro? No, ho acquistato lo stesso materiale dal produttore per il 4% in meno del primo preventivo senza alcun problema.

Certo è stato più scomodo andarlo a ritirare ma non si può sempre accettare ogni vessazione.

Perché più che in economia di guerra dovremmo renderci conto che viviamo da anni in regime di guerra economica.

Soluzioni

Non si può sempre delegare tutto, produrre dove costa meno, vendere con margini folli e poi stupirci quando il giocattolo si rompe e restiamo a bocca asciutta.

Non sono per l’autarchia, vivo e lavoro collaborando con moltissime persone ma non perseguo esclusivamente il massimo guadagno, il mio obbiettivo come azienda è la massima resilienza.

Trovare validi partner nel mio settore è molto difficile, dopo vent’anni di attività si contano sulle dita di una mano ma non sono unici, mai.

Deve sempre esistere un piano B e, possibilmente, anche un piano C.

Solo così si ha una buona possibilità (non la certezza) di sopravvivere alle crisi di mercato e crescere.

Come mi diceva un serio professionista della consulenza finanziaria indipendente se si opera senza la giusta disciplina si è sempre rischiato di farsi male, oggi si rischia il tracollo.

Non si corre dietro al mercato, nel mare in tempesta si tiene la barra ben salda perché i movimenti inconsulti solitamente portano al naufragio.

Potrei sintetizzare tutte queste considerazioni, applicandole al mio lavoro, dicendo:

“Non comprate diamanti perché c’è la guerra,

comprateli perché sono un ottimo investimento”.

In tempi non sospetti vi parlavo dell’aumento delle quotazioni dei diamanti, la piacevole sorpresa è stata verificare che gli aumenti sono scarsamente correlati con la situazione geopolitica.

I prezzi salgono perché sale la domanda, non perché sono impazziti gli strumenti finanziari sui diamanti (strumenti che ,fortunatamente, non esistono…).  

Specialmente nei momenti di crisi si deve mantenere la lucidità, solo così si può tracciare e mantenere la rotta che ci permette di superare la tempesta.

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Alla prossima,

Paolo Genta