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La tracciabilità dei diamanti: ecco le loro strade.

Oggi si stima molto la tracciabilità, viene considerata un valore aggiunto per ogni prodotto.

Proprio sulla tracciabilità dei diamanti si è scritto e detto molto, non sempre però rispettando la realtà dei fatti.

Ho già scritto un articolo sui problemi morali dei diamanti, adesso vorrei svelarvi i percorsi di queste gemme e il loro reale peso economico.

Le strade del minerale grezzo

Fino a pochi anni fa i diamanti grezzi dovevano seguire percorsi a volte tortuosi per arrivare nelle taglierie.

Una volta estratti erano spediti a Londra per la selezione, poi arrivavano ad Anversa per essere venduti e finalmente giungevano in taglieria dopo essere passati per 4 o 5 mani diverse.

Nel 2013 De Beers ha spostato le operazioni di selezione a Gaborone, in Botswana mentre Dubai è diventato il secondo centro mondiale per il grezzo grazie ai problemi fiscali e bancari di Anversa.

Anversa è ancora saldamente al comando con circa l’84% del grezzo mondiale che transita ancora qui.  Sono infatti le miniere piccole e medie che vendono il loro grezzo nelle aste della città belga a manternerla in vetta!

Dove si tagliano i diamanti?

L’80 / 90% del grezzo estratto è tagliato in India, nel distretto di Surat e da lavoro a mezzo milione di persone generando più di 70.000.000 $ di fatturato al giorno! Grazie ai diamanti e al settore tessile Surat è una delle aree di maggior benessere dell’India con il più alto tasso di crescita del Pil.

Circa un terzo dei diamanti tagliati in India è spedito direttamente dalle miniere di Russia, Canada, Botswana e da altre minori mentre il 57% arriva complessivamente da Belgio ed Emirati Arabi.

I protagonisti di questo mercato?

La spina dorsale degli scambi è rappresentata da accordi a lungo termine tra pochi selezionati acquirenti e le principali compagnie minerarie. De Beers, Alrosa, Rio Tinto e Dominion diamond rappresentano da sole circa il 70% del mercato globale.

Questi colossi sono gli unici in grado di programmare e garantire rifornimenti che permettano alle maggiori taglierie di operare senza interruzioni.

Le altre miniere, medie o piccole, solitamente organizzano aste o gare d’appalto per massimizzare il prezzo realizzato.

I grossisti di primo livello

Al momento esistono 124 società, dette Sightholders, che acquistano i diamanti tagliati grazie a questi contratti a lungo termine e si occupano di distribuirli a livello mondiale.

È tramite loro che i diamanti iniziano la strada che li porterà fino a voi.

Solo una piccola fetta del mercato è rappresentata da grossisti che acquistano il grezzo, solitamente di altissima qualità, per tagliarlo in proprio e vendere direttamente le gemme così ottenute.

La tracciabilità oggi

Tutti gli attori di questo mercato aderiscono al Kimberley Process: un accordo internazionale volto a stroncare l’uso illecito dei profitti di questo mercato. Di concerto con le Nazioni Unite questo sistema continua ad avere una grande efficacia.

Ad oggi solo la Repubblica del Congo è esclusa dall’accordo mentre Costa d’Avorio e Liberia sono oggetto di sanzioni Onu.

Il futuro della tracciabilità

È in fase di test l’applicazione dell’algoritmo Blockchain per certificare ogni singolo passaggio dalla miniera fino a voi.

Ma questo lo approfondirò nel prossimo articolo!

Paolo Genta

Aste e diamanti: guida per il successo!

Partecipare alle aste di gioielli e diamanti e fare il colpo del secolo. Trovare il pezzo raro, pagarlo poco e realizzare una piccola fortuna rivendendolo. Questa è per molti la visione delle aste!

Nel bene e nel male, calza alla perfezione per un certo numero di esse, principalmente quelle collegate alle vendite giudiziarie o ai banchi dei pegni.

Tuttavia in queste aste si trovano un’infinità di oggetti ma raramente sono delle buone opportunità, i pezzi migliori sono i primi ad andarsene e seguono altre strade.

 

Esiste infatti un altro tipo di aste dove l’aria che si respira è decisamente più piacevole:

 

sono le aste internazionali, principalmente di Christie’s e Sotheby’s.

Si tengono a New York, Londra, Hong Kong e Ginevra, sono l’appuntamento mondiale per il lusso e per le vere opportunità, sia per gli acquirenti che per i venditori.

Qui si possono trovare diamanti colorati e pezzi davvero unici destinati a diventare icone mondiali del lusso.

Christie’s ci fornisce  due magnifici esempi:

  • Un diamante bianco da ct. 20,47, D/If, tipo IIa, venduto a New York il 12 giugno scorso per 2.700.000 $.
  • Un gioiello disegnato da Moussaieff con una goccia fancy vivid blue, If, da ct. 8,01, un fancy intense pink da ct. 1,6 e un diamante bianco da ct. 0,35 venduto a Hong Kong il 29 maggio per 20.500.000 $.

Per noi comuni mortali c’è comunque da imparare molto da queste aste, principalmente gli errori da evitare per non sbagliare l’investimento.

 

Pezzi importanti sono restati invenduti, come quest’anello con un diamante fancy blue, Vvs2, da ct. 14,15 che è rimasto da Sotheby’s a Hong Kong senza neppure avvicinarsi alla stima di 6 – 7.700.000 $.

Le cause? Fluorescenza elevata e non gradita, specialmente in oriente, oppure un colore non così saturo da farvi innamorare o, più semplicemente, una stima sbagliata.

 

Evitati gli errori, ecco l’opportunità

 

acquistare una pietra di pregio che arricchisca il proprio patrimonio e che possa essere rivenduta con profitto.

In barba alle politiche di marchio e al consumismo in questo settore il mantra è rappresentato da qualità, rarità e bellezza.

Chi ha seguito queste regole ha spesso fatto affari d’oro, stabilendo prezzi record.

Sempre Sotheby’s ha venduto lo scorso aprile a New York quest’anello con un fancy intense blue da ct. 3.47 per 6.700.000 $, polverizzando la stima di 2 – 2.500.000 $.

Diventa quindi importante conoscere bene il mercato per scegliere oculatamente.

Quando concludiamo accordi lavorativi siamo definiti professionisti se utilizziamo le competenze di esperti e tecnici per evitare trabocchetti o problemi futuri, perché dovrebbe essere diverso nella nostra vita privata?

Il mio compito è proprio far luce su questo mondo affascinante per permettervi, se lo vorrete, un acquisto o una vendita in totale serenità.

Paolo Genta

Photo courtesy of: Christie’s and Sotheby’s

Quanto ci piace il virtuale?

Mi piacerebbe vivere in un mondo meno virtuale, più a misura di persona e non di performance, ma il mondo nel quale vivo è differente. Per non subirlo devo quindi conoscerlo e quando è possibile sapere come volgerlo a mio vantaggio.

Ammirarne la complessità è magnifico, bisogna tuttavia saper riconoscere alcuni segnali di cambiamento. Negli ultimi anni abbiamo assistito all’esplosione del “fenomeno criptovalute“.

Nate dal desiderio di avere un metodo di pagamento globale affidabile e non ostaggio di governi ed istituzioni, sono rapidamente diventate l’ennesima bolla speculativa.

È un discorso troppo ampio e complesso per  essere affrontato in un blog ma, grazie ad un articolo apparso su Rapaport, posso approfondirne una piccola parte.

 

Dal virtuale al reale

 

In sintesi: una società che si occupa della produzione di criptovalute ha effettuato un primo acquisto di diamanti da offrire in libero scambio ai propri clienti.

La notizia è solo in apparenza banale mentre la sua portata potrebbe essere rivoluzionaria. La base è la nostra concezione di denaro: come lo definiamo? Perchè diamo valore ad un semplice pezzo di carta?

Oggi il denaro è molto più virtuale ma facendo un salto indietro nel tempo scopriamo che le banconote erano nate per non spostare fisicamente il mezzo di pagamento universalmente accettato cioè l’oro.

Per molto tempo la “carta monetaria” poteva essere convertita in oro e viceversa, l’emittente del denaro doveva custodire fisicamente tanto oro quanto era il denaro circolante.

Inutile dire che la naturale cupidigia umana ha complicato le cose: riserve sparite, denaro falso, proliferazione della carta finanziaria…

Nei secoli l’intero sistema si è mosso verso una virtualizzazione estrema e le criptovalute sono l’esempio del virtuale assoluto.

Talmente virtuali che sono diventate famose non per le loro qualità ma per il lauti guadagni che permettevano dalla loro conversione con le valute tradizionali.

 

Siamo agli albori di un “diamond standard”?

 

Che una società di criptovalute scelga di acquistare diamanti da custodire in cassaforte, dopo adeguata certificazione, è un potente segnale della necessità di una base reale e tangibile per sostenere il virtuale.

I diamanti sono passati attraverso molte bufere, spesso nate dall’avidità, a volte indicati come la causa dei mali del mondo, altre come simbolo del tesoro per eccellenza in realtà stanno ripercorrendo la stessa strada dell’oro.

Millenni fa il prezioso metallo è stato scelto come mezzo per regolare gli scambi perchè è colorato, lucente, resistente, facile da lavorare e raro. Si stima che tutto l’oro estratto nella storia sia circa pari ad un cubo di 20 metri di lato: ecco quanto è raro.

E i diamanti? A parte la facilità nella lavorazione hanno le stesse caratteristiche e sono anche più rari e preziosi. Un kilo d’oro costa circa 35.000 €, un kilo di diamanti da 1 ct., di qualità buona ma non eccelsa, costa 31.000.000 €!

Non più relegati a semplice componente di un gioiello i diamanti vengono utilizzati sempre più come forma di investimento. La novità è il loro utilizzo come garanzia reale del mezzo di pagamento più virtuale che esista!

È affascinante notare come dopo secoli di evoluzione del sistema economico l’ultimo prodotto finanziario ipertecnologico cerchi delle basi “antiche” per ottenere solidità!

Un po’ come le grandi famiglie del passato che per essere credibili dovevano accumulare ricche collezioni d’arte e sontuosi palazzi come prova della loro solidità finanziaria.

Ho la sensazione che questo argomento si svilupperà velocemente aprendo nuove ed interessanti opportunità non solo per le aziende ma anche per i singoli clienti.

Paolo Genta

La ricchezza ha molte forme

La moralità della ricchezza

Parlare di ricchezza e morale non è proprio semplice ma è molto utile. Per farlo mi serve una piccola introduzione.

Cosa capita quando migliaia di persone sono raggiunte da un tuo articolo sui diamanti acquistati in banca? Sei contento, ovvio, molto contento!

Anche Google Analytics ti dice che parecchie centinaia di loro hanno dedicato del tempo per leggerti ed è inutile nasconderlo: fa piacere.

 

La cosa che però mi ha colpito di più sono stati i commenti di tre lettori

 

  • State alla larga dai diamanti
  • Un campo di grano per me vale più di un kilo d’oro
  • Nella foto vedo solo 12 bambini morti e sangue a fiumi

 

Li riporto integralmente per trasparenza visto che ho dovuto cancellarli dalla pagina Facebook perché lo scambio con i lettori, anche se civile e corretto, era pesantemente fuori tema e non volevo scatenare sterili polemiche.

Quello che mi sembrava trasparire da questi commenti era una specie di avversione per l’idea stessa di ricchezza, come se possederla fosse una cosa immorale ed usarla per un bene di lusso fosse una colpa pesantissima.

Il primo commento è il più semplice e lineare: un lettore ha condiviso il mio articolo con un lapidario “state alla larga dai diamanti”. Lecito e rispetto la sua opinione!

Lo spirito dell’articolo tuttavia era di informare le persone cadute nella “trappola” dei diamanti venduti in banca sulle possibili soluzioni al loro problema e non allontanarle da un’opportunità di investimento.

 

La scelta di investire in diamanti era corretta, l’errore è stato fidarsi delle persone sbagliate.

 

La colpa di questo errore non è certo stata dei clienti ma di chi, tramite una comunicazione al limite del truffaldino, li ha illusi.

Più interessante è il secondo commento, in sintesi il lettore sosteneva che un campo di grano ha un valore reale, concreto, può sfamarti mentre un diamante o l’oro sono beni eterei, privi di utilità concreta.

Non volendo causare una disputa infinita tirando in ballo Marx e la proprietà dei mezzi di produzione mi limito ad osservare che

 

senza altri elementi anche un campo di grano è inutile

 

Per farlo fruttare servono lavoro, strumenti, animali o macchine, mulini e forni, panettieri e trasportatori ed infine commercianti. Ed in tutti questi passaggi serve l’altra faccia della ricchezza: il denaro.

Possiamo voler accorciare la filiera, eliminare i ricarichi assurdi, valorizzare il lavoro manuale a discapito di quello più mentale o d’ufficio ma sono ormai millenni che l’idea bucolica di una vita semplice a contatto con la natura non funziona. Almeno non per una società complessa come la nostra.

Nel bene e nel male ci siamo evoluti da semplici cacciatori e raccoglitori a ciò che siamo oggi perché migliaia di generazioni hanno prodotto un surplus che ha permesso a qualcuno di studiare e migliorare la comunità e se stesso.

 

La ricchezza non è né buona né cattiva, è l’uso che se ne fa a sancirne la differenza

 

Non possiamo fare a meno del denaro: dovrebbe essere un mezzo e non un fine ma è anche la misura di tutto quello che ci circonda.

Da sempre l’uomo ha cercato di proteggere le sue risorse per difendersi da un futuro incerto o per garantirsi una vecchiaia serena.

Il problema nasce quando si inizia a giudicare come e dove una persona investe il frutto del suo lavoro.

 

Perché investire in un immobile, in un’obbligazione o in un diamante dovrebbe essere meno nobile o socialmente utile che investire in un campo di grano?

 

In ogni caso partecipo al sistema economico ed aiuto il lavoro di altre persone.

Non giustifico certo gli sprechi, gli abusi e gli sfruttamenti né la concentrazione assurda della ricchezza ma l’idea romantica della semplicità e del valore della natura è, purtroppo, pura demagogia.

Spesso siamo fuorviati da un mare di informazioni che ci piovono addosso. Siamo indotti a credere a realtà fittizie. Un esempio per tutti: ultimamente si vedono pubblicità che declamano un grano antico molto pregiato, il grano Senatore Cappelli…

Notizia errata: il Senatore Cappelli non è un grano “antico” ma il capolavoro di Nazzareno Strampelli, forse uno dei più grandi genetisti italiani.

È stato creato tramite ibridazione all’inizio del ‘900, raddoppiando la resa per ettaro. Quanto studio, quante risorse , quanto lavoro intellettuale c’è dietro questo successo? Quanta ricchezza è servita per renderlo possibile?

Se il deputato del Regno Raffaele Cappelli non avesse avuto un campo da prestare a Strampelli per il suo esperimento quanti italiani avrebbero sofferto la fame nei decenni successivi?

Ricchezza ed etica possono e devono crescere insieme

Diamanti etici, simbolo della ricchezza

Ed eccoci all’ultimo commento, quello che sembra il più brutale di tutti e che pesa come una lapide. Anche qui la realtà è leggermente diversa: nel 2002 è stato istituito il Kimberley Process proprio per impedire il commercio dei diamanti che non rispettano precisi standard etici.

Per esperienza diretta questo sistema funziona meglio di altri che  accettiamo quotidianamente e che garantiscono la qualità del cibo, la sicurezza dei prodotti o limitano l’inquinamento.

 

Lo sfruttamento di altri esseri umani, adulti o bambini che siano, uomini o donne è terribile. A prescindere dal settore nel quale sono sfruttati

 

È mio preciso dovere  non trattare i “conflict diamonds” ma demonizzare l’intero settore è ipocrita. L’industria dei diamanti fornisce un reddito vitale a interi stati.

Sarebbe magnifico vedere solo bambini che giocano e studiano ma la piaga dello sfruttamento non è generata dai diamanti, nasce qui in occidente dalla nostra avidità.

Pensate alle miniere necessarie per ottenere i minerali vitali per gli smartphone oppure ai vestiti “made in Italy” cuciti in Bangladesh, per tacere sullo smaltimento dei rifiuti: quanti bambini ci lavorano? Eppure non vedo la stessa indignazione contro i cellulari e i vestiti o un maggiore impegno per sporcare di meno.

Cerchiamo di essere sinceri: chi si ricorda dei bambini italiani che pochi decenni fa si spaccavano la schiena nei campi e nelle stalle per sopravvivere? Vi ricordate le loro foto mentre, anneriti, consegnavano il carbone nelle case?

È molto difficile scrivere di moralità e ricchezza perché purtroppo abbiamo quotidianamente sotto gli occhi situazioni tragiche nelle quali l’abuso della ricchezza causa danni ingenti. Quello che invece tendiamo a sottovalutare sono le situazioni, infinitamente più numerose, nelle quali la ricchezza viene correttamente impiegata e contribuisce al benessere di tutti.

Sono le persone che sfruttano le altre persone, la colpa non è dei prodotti. E se una persona lavora onestamente, paga le tasse e desidera acquistare un gioiello, un vestito, un’opera d’arte o un altro bene, anche solo per il suo piacere, non fa un torto a nessuno.

Paolo Genta