La moralità della ricchezza
Parlare di ricchezza e morale non è proprio semplice ma è molto utile. Per farlo mi serve una piccola introduzione.
Cosa capita quando migliaia di persone sono raggiunte da un tuo articolo sui diamanti acquistati in banca? Sei contento, ovvio, molto contento!
Anche Google Analytics ti dice che parecchie centinaia di loro hanno dedicato del tempo per leggerti ed è inutile nasconderlo: fa piacere.
La cosa che però mi ha colpito di più sono stati i commenti di tre lettori
- State alla larga dai diamanti
- Un campo di grano per me vale più di un kilo d’oro
- Nella foto vedo solo 12 bambini morti e sangue a fiumi
Li riporto integralmente per trasparenza visto che ho dovuto cancellarli dalla pagina Facebook perché lo scambio con i lettori, anche se civile e corretto, era pesantemente fuori tema e non volevo scatenare sterili polemiche.
Quello che mi sembrava trasparire da questi commenti era una specie di avversione per l’idea stessa di ricchezza, come se possederla fosse una cosa immorale ed usarla per un bene di lusso fosse una colpa pesantissima.
Il primo commento è il più semplice e lineare: un lettore ha condiviso il mio articolo con un lapidario “state alla larga dai diamanti”. Lecito e rispetto la sua opinione!
Lo spirito dell’articolo tuttavia era di informare le persone cadute nella “trappola” dei diamanti venduti in banca sulle possibili soluzioni al loro problema e non allontanarle da un’opportunità di investimento.
La scelta di investire in diamanti era corretta, l’errore è stato fidarsi delle persone sbagliate.
La colpa di questo errore non è certo stata dei clienti ma di chi, tramite una comunicazione al limite del truffaldino, li ha illusi.
Più interessante è il secondo commento, in sintesi il lettore sosteneva che un campo di grano ha un valore reale, concreto, può sfamarti mentre un diamante o l’oro sono beni eterei, privi di utilità concreta.
Non volendo causare una disputa infinita tirando in ballo Marx e la proprietà dei mezzi di produzione mi limito ad osservare che
senza altri elementi anche un campo di grano è inutile
Per farlo fruttare servono lavoro, strumenti, animali o macchine, mulini e forni, panettieri e trasportatori ed infine commercianti. Ed in tutti questi passaggi serve l’altra faccia della ricchezza: il denaro.
Possiamo voler accorciare la filiera, eliminare i ricarichi assurdi, valorizzare il lavoro manuale a discapito di quello più mentale o d’ufficio ma sono ormai millenni che l’idea bucolica di una vita semplice a contatto con la natura non funziona. Almeno non per una società complessa come la nostra.
Nel bene e nel male ci siamo evoluti da semplici cacciatori e raccoglitori a ciò che siamo oggi perché migliaia di generazioni hanno prodotto un surplus che ha permesso a qualcuno di studiare e migliorare la comunità e se stesso.
La ricchezza non è né buona né cattiva, è l’uso che se ne fa a sancirne la differenza
Non possiamo fare a meno del denaro: dovrebbe essere un mezzo e non un fine ma è anche la misura di tutto quello che ci circonda.
Da sempre l’uomo ha cercato di proteggere le sue risorse per difendersi da un futuro incerto o per garantirsi una vecchiaia serena.
Il problema nasce quando si inizia a giudicare come e dove una persona investe il frutto del suo lavoro.
Perché investire in un immobile, in un’obbligazione o in un diamante dovrebbe essere meno nobile o socialmente utile che investire in un campo di grano?
In ogni caso partecipo al sistema economico ed aiuto il lavoro di altre persone.
Non giustifico certo gli sprechi, gli abusi e gli sfruttamenti né la concentrazione assurda della ricchezza ma l’idea romantica della semplicità e del valore della natura è, purtroppo, pura demagogia.
Spesso siamo fuorviati da un mare di informazioni che ci piovono addosso. Siamo indotti a credere a realtà fittizie. Un esempio per tutti: ultimamente si vedono pubblicità che declamano un grano antico molto pregiato, il grano Senatore Cappelli…
Notizia errata: il Senatore Cappelli non è un grano “antico” ma il capolavoro di Nazzareno Strampelli, forse uno dei più grandi genetisti italiani.
È stato creato tramite ibridazione all’inizio del ‘900, raddoppiando la resa per ettaro. Quanto studio, quante risorse , quanto lavoro intellettuale c’è dietro questo successo? Quanta ricchezza è servita per renderlo possibile?
Se il deputato del Regno Raffaele Cappelli non avesse avuto un campo da prestare a Strampelli per il suo esperimento quanti italiani avrebbero sofferto la fame nei decenni successivi?
Ed eccoci all’ultimo commento, quello che sembra il più brutale di tutti e che pesa come una lapide. Anche qui la realtà è leggermente diversa: nel 2002 è stato istituito il Kimberley Process proprio per impedire il commercio dei diamanti che non rispettano precisi standard etici.
Per esperienza diretta questo sistema funziona meglio di altri che accettiamo quotidianamente e che garantiscono la qualità del cibo, la sicurezza dei prodotti o limitano l’inquinamento.
Lo sfruttamento di altri esseri umani, adulti o bambini che siano, uomini o donne è terribile. A prescindere dal settore nel quale sono sfruttati
È mio preciso dovere non trattare i “conflict diamonds” ma demonizzare l’intero settore è ipocrita. L’industria dei diamanti fornisce un reddito vitale a interi stati.
Sarebbe magnifico vedere solo bambini che giocano e studiano ma la piaga dello sfruttamento non è generata dai diamanti, nasce qui in occidente dalla nostra avidità.
Pensate alle miniere necessarie per ottenere i minerali vitali per gli smartphone oppure ai vestiti “made in Italy” cuciti in Bangladesh, per tacere sullo smaltimento dei rifiuti: quanti bambini ci lavorano? Eppure non vedo la stessa indignazione contro i cellulari e i vestiti o un maggiore impegno per sporcare di meno.
Cerchiamo di essere sinceri: chi si ricorda dei bambini italiani che pochi decenni fa si spaccavano la schiena nei campi e nelle stalle per sopravvivere? Vi ricordate le loro foto mentre, anneriti, consegnavano il carbone nelle case?
È molto difficile scrivere di moralità e ricchezza perché purtroppo abbiamo quotidianamente sotto gli occhi situazioni tragiche nelle quali l’abuso della ricchezza causa danni ingenti. Quello che invece tendiamo a sottovalutare sono le situazioni, infinitamente più numerose, nelle quali la ricchezza viene correttamente impiegata e contribuisce al benessere di tutti.
Sono le persone che sfruttano le altre persone, la colpa non è dei prodotti. E se una persona lavora onestamente, paga le tasse e desidera acquistare un gioiello, un vestito, un’opera d’arte o un altro bene, anche solo per il suo piacere, non fa un torto a nessuno.