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Sanzioni

Sanzioni: quanto ci costano davvero?

Le sanzioni sono un argomento scottante. Sono diventate la bandiera per schierarsi in questa tragica situazione.

Alcuni le reputano totalmente inutili contro un gigante come la Federazione Russa, altri le vorrebbero totali per stroncare le fonti di finanziamento della guerra, infine ci sono persone che vedono nelle sanzioni una pericolosa provocazione verso una nazione assai aggressiva.

Messe da parte le mie opinioni sull’efficacia finora dimostrata dalle sanzioni ho potuto studiare meglio le conseguenze per noi sui mercati di oro e diamanti.

L’oro

L’argomento più recente riguarda l’oro: come sappiamo le borse si muovono sulle notizie quindi anche se manca ancora l’ufficialità su tempi e metodi per l’embargo dell’oro russo il mercato ha già usato le parole di Erich Maria Remarque per dare il suo parere: “Niente di nuovo sul fronte occidentale”.

A parte un’oscillazione in apertura, inferiore all’1%, l’oro prosegue il suo cammino apparentemente insensibile alle sanzioni.

Nelle prime due settimane del conflitto l’oro ha ripetuto i massimi del luglio 2020 per poi ripiegare di oltre il 10% arrivando a testare il supporto del luglio 2011: quei 59 $/g che hanno segnato la fine della prima corsa all’oro iniziata nel 2003.

Come si può vedere dal grafico sembra che le conseguenze delle sanzioni sull’oro russo, almeno per chi le ha imposte, siano nulle.

sanzioni oro

Non dimentichiamoci poi che i media amano cavalcare l’onda delle notizie ma spesso arrivano fuori tempo.

Le autorità sono attive sin da marzo per bloccare i capitali russi in fuga. La Svizzera, per esempio, vieta la commercializzazione del metallo russo dal 7 marzo 2022 e a maggio ha sequestrato tre tonnellate del prezioso metallo triangolate dal Regno Unito ma di provenienza russa.

Divieti simili sono stati posti mesi fa anche dal London Bullion Market ma, al solito, “fatta la legge trovato l’inganno”: adesso pare che sia Dubai la piazza di transito per aggirare i divieti.

I diamanti

Per il mondo dei diamanti invece pare che il problema sia quantificabile in 31,5 milioni di dollari.

Questo è quanto Alrosa, gigante minerario russo, non pagherà l’anno prossimo al Natural Diamond Council (NDC) come conseguenza diretta delle sanzioni sui diamanti.

L’NDC è un ente, finanziato da De Beers, Lucara Diamond Corp., Arctic Canadian Diamond Company, Petra Diamonds, Rio Tinto e altri che ha il compito di promuovere i diamanti naturali sul mercato tramite mirate campagne di marketing.

A quanto pare l’unico problema sarà coprire il budget, per il 2023, per la promozione dei diamanti naturali presso il pubblico.

Certamente è un problema da risolvere ma non mi sembra così grave da affossare il mercato.

Il mercato

Come scrivevo a marzo la domanda di diamanti ha raggiunto e superato i livelli del 2019 ma i prezzi rimangono stabili, almeno in dollari, mentre per noi europei sono saliti a causa della rivalutazione del dollaro.

Al momento il mercato riesce a gestire la forte domanda ma la situazione non sarà sostenibile a lungo.

Anche perché i prezzi di tutti i materiali sembrano impazziti e, siamo sinceri, non certo a causa della guerra o delle sanzioni.

La speculazione

Basta analizzare il “sangue” della nostra economia: il petrolio.

Nella prima metà del 2008 costava circa 114 € al barile (180 $ al cambio di 1.57) mentre oggi costa 104 € al barile (110 $ al cambio di 1.05).

In compenso il gasolio che nel 2008 costava 1.3 €/l, oggi costa 2,04 €/l (2.54 se includiamo lo sconto sulle accise).

Davvero è una conseguenza della guerra?

A fronte di un calo del petrolio del 5.5% come fa il gasolio ad essere aumentato del 57% (del 95% senza lo sconto)?

Non sono mai stato un complottista ma, rileggendo l’articolo di due anni fa, è difficile non notare un collegamento.

Poche settimane fa guardavo sui social commenti inviperiti di clienti che maledicevano i produttori di pasta.

Pastai che prima dichiaravano di usare solo grano duro italiano si lamentavano della scarsità di materie prime a causa del blocco del grano ucraino.

Non uno si è posto il problema che l’Ucraina pesa, sull’export mondiale di grano duro, poco più del 2% (idem la Russia).

L’Italia dipende per il 46% dal Canada, l’8% dalla Grecia, il 7% da Francia e Usa, il 3% dal Kazakistan.

Il prezzo del grano è esploso a causa dei problemi delle coltivazioni in Canada e dell’aumento dei costi di trasporto.

Di nuovo guerra e sanzioni non c’entrano nel discorso.

Come difendersi

Come notate è importante saper distinguere la realtà da come ci viene presentata, saper riconoscere l’inizio di un trend da una bieca manovra speculativa, scegliere le soluzioni che meglio si adegueranno alle nostre esigenze future.

È bastato il semplice annuncio (nessuna decisione, solo un annuncio) da parte russa della possibilità per l’Ucraina di esportare grano dai porti occupati per far tornare i prezzi indietro di due mesi.

In un contesto così turbolento sono felice che i diamanti seguano l’unica legge di mercato che trovo corretta: i prezzi devono basarsi su domanda e offerta, non su paura e speculazione.

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Alla prossima,

Paolo Genta

Accorciare la filiera: “dalla miniera al dito”

La filiera, di qualunque bene, è da molti anni al centro dell’attenzione di tutti gli operatori.

Alcuni la vogliono accorciare, altri la tracciano, tutti vogliono controllarla.

Nel vasto mondo delle gemme la filiera è importante per la capire la qualità e valutare i prezzi.

Spesso basta il nome di una regione per evocare gemme magnifiche, come è successo per le tormaline Paraiba, i rubini Burma o la Tsavorite.

Il diamante

È l’unica gemma che fa eccezione. Per lui è in corso una battaglia senza esclusione di colpi per controllarne la filiera.

Nulla di nuovo a ben vedere, tranne il fatto che periodicamente l’idea di accorciare la filiera dei diamanti viene riproposta… Ovviamente sempre nell’interesse esclusivo del consumatore finale!

Tempo fa avevo scritto sulla tracciabilità e sul percorso dalla “miniera al dito” di queste bellissime gemme.

Da allora quasi tutti hanno provato a vendere, come un vantaggio per il cliente, la storia della pietra ma tutti hanno fallito.

L’ idea

Hanno fallito perché, in realtà, si trattava solo di modi per aumentare il prezzo delle gemme.

Solo la storia sull’origine naturale dei diamanti ha funzionato: perché serve davvero ai clienti per distinguere i diamanti naturali dai sintetici.

Questa volta ci provano Lucara, gigante canadese dell’estrazione di diamanti molto attivo in Botswana e HB, taglieria di Anversa con l’ambizione di snellire la catena di approvvigionamento in nome di trasparenza, sostenibilità ed etica.

In realtà, in base alle notizie filtrate finora, si tratterebbe di un accordo commerciale tra il governo del Botswana, noto produttore di diamanti di grandi dimensioni e ottima qualità, la compagnia mineraria, che possiede diverse miniere in quella regione e la taglieria per scegliere le pietre migliori e indirizzarle verso il gigante francese del lusso LVMH.

La sostanza

Come questo sia nell’interesse del consumatore finale, dell’ambiente o dell’etica mi sfugge.

Mi sembra un’operazione commerciale, lecita, ma finalizzata a ottenere maggiori profitti grazie all’esclusività dei marchi LVMH.

Lo scopo finale è sottrarre il lucroso mercato dei diamanti di grosse dimensioni agli attuali operatori.

In sostanza questo, come tutti i precedenti accordi, mirano a spostare la ripartizione del profitto a monte.

Purtroppo il consumatore finale al meglio continuerà a pagare gli stessi prezzi, più spesso invece li vedrà crescere per i presunti servizi aggiuntivi.

I vantaggi

L’unico vantaggio, giusto e apprezzabile, sarà per il Botswana che potrà vendere meglio i suoi diamanti con positive ricadute su tutta la popolazione.

Per chi vorrà comprare un diamante “normale” non credo che cambierà molto.

I fortunati che guardano solo le pietre di grandi dimensioni invece dovranno valutare la soddisfazione di acquistare un diamante eccezionale in una location esclusiva magari sorseggiando champagne rispetto al prezzo pagato.

Personalmente sorrido perché da decenni le pietre più esclusive si scambiano in questo modo.

Non conosco un solo professionista del settore che non offra generosi servizi accessori agli acquirenti di pietre particolari.

Vedremo se questa volta ci saranno novità interessanti o se sarà il solito tentativo di scalare il mercato dietro la bandiera dell’etica e dell’ecolgia.

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Paolo Genta

Economia di guerra

Economia di guerra

L’economia di guerra era un argomento che mi andava benissimo relegato nei libri che ho letto.

Non che nel corso della mia vita siano mancate le opportunità di vederla dal vivo, anche molto più vicina a noi di quanto non sembri quella Ucraina (ricordate la Jugoslavia?) ma sinceramente mi illudevo che la specie umana avesse imparato qualcosina in più.

Provando a fare l’impossibile, cioè non considerare per un attimo la tragedia umana che si sta consumando, svariate sono le considerazioni da fare sul nostro comportamento.

Nei mesi passati avevo scritto molto sul ritorno dell’inflazione anche se certo non pensavo che una delle cause sarebbe stata una guerra. Tuttavia adesso è qui e dobbiamo farci i conti.

La situazione geopolitica è stata solo il detonatore, i segnali erano già presenti ben prima del precipitare degli eventi.

La ripartenza ha aumentato la domanda di prodotti e servizi, le norme sanitarie hanno ostacolato le forniture di alcuni beni e la follia di questo conflitto poi è stata la proverbiale goccia ma siamo noi i veri maestri nel crearci situazioni impossibili.

I folli rincari di molti beni hanno pochi fondamenti nella realtà e moltissimi nella speculazione.

Economia e finanza

Se da un lato i mercati finanziari sono vitali per il nostro mondo in alcuni casi diventano letali.

Se in borsa si scambiano prodotti per decine o centinaia di volte il reale fabbisogno della merce che rappresentano allora qualcosa non torna.

Come per l’oro: se la quotazione dovesse rispecchiare il valore degli strumenti finanziari che lo rappresentano, sarebbe di 65.000 €/gr e non 60!

Se valutiamo quindi gli aumenti di petrolio, gas e energia in base ai movimenti finanziari la questione inizia ad assumere nuovi contorni.

La finanza è una formidabile alleata dell’economia reale, sono sinergiche e inseparabili ma, quando va fuori controllo, rischia di annientarla.

Purtroppo siamo bravissimi a lamentarci degli aumenti ma non altrettanto a cercare alternative o a ostacolarli.

Non sempre è possibile evitarli, ma spesso li accettiamo per lamentarci solo dopo.

Speculazione

Ricordiamoci anche che la finanza non è l’unica responsabile dell’esplosione dei prezzi in realtà siamo noi a voler speculare.

Mi è successo giusto pochi giorni fa: per un lavoro a casa ho chiesto a un rivenditore il preventivo per due bancali di materiale.

Fatte le opportune verifiche e preparato il lavoro in fase d’ordine, una settimana dopo, mi è stato chiesto il 22% in più, con la motivazione che tutto cresce, che con il 110% non si trova nulla e che la guerra fa crescere i prezzi.

Dopo un attimo di sorpresa ho chiesto se fosse uno scherzo e dopo poche battute ho chiuso la telefonata.

Ho rinunciato al lavoro? No, ho acquistato lo stesso materiale dal produttore per il 4% in meno del primo preventivo senza alcun problema.

Certo è stato più scomodo andarlo a ritirare ma non si può sempre accettare ogni vessazione.

Perché più che in economia di guerra dovremmo renderci conto che viviamo da anni in regime di guerra economica.

Soluzioni

Non si può sempre delegare tutto, produrre dove costa meno, vendere con margini folli e poi stupirci quando il giocattolo si rompe e restiamo a bocca asciutta.

Non sono per l’autarchia, vivo e lavoro collaborando con moltissime persone ma non perseguo esclusivamente il massimo guadagno, il mio obbiettivo come azienda è la massima resilienza.

Trovare validi partner nel mio settore è molto difficile, dopo vent’anni di attività si contano sulle dita di una mano ma non sono unici, mai.

Deve sempre esistere un piano B e, possibilmente, anche un piano C.

Solo così si ha una buona possibilità (non la certezza) di sopravvivere alle crisi di mercato e crescere.

Come mi diceva un serio professionista della consulenza finanziaria indipendente se si opera senza la giusta disciplina si è sempre rischiato di farsi male, oggi si rischia il tracollo.

Non si corre dietro al mercato, nel mare in tempesta si tiene la barra ben salda perché i movimenti inconsulti solitamente portano al naufragio.

Potrei sintetizzare tutte queste considerazioni, applicandole al mio lavoro, dicendo:

“Non comprate diamanti perché c’è la guerra,

comprateli perché sono un ottimo investimento”.

In tempi non sospetti vi parlavo dell’aumento delle quotazioni dei diamanti, la piacevole sorpresa è stata verificare che gli aumenti sono scarsamente correlati con la situazione geopolitica.

I prezzi salgono perché sale la domanda, non perché sono impazziti gli strumenti finanziari sui diamanti (strumenti che ,fortunatamente, non esistono…).  

Specialmente nei momenti di crisi si deve mantenere la lucidità, solo così si può tracciare e mantenere la rotta che ci permette di superare la tempesta.

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Alla prossima,

Paolo Genta

I prezzi dei diamanti salgono, ecco perché.

I prezzi salgono”, “tutto costa di più”. Questi sono i nuovi mantra dei discorsi che sento sempre più spesso.

Già a giugno 2020  vi avevo parlato dei miei timori su prezzi e inflazione e lo scorso luglio avevo fatto un primo punto sulla situazione.

Alcuni lettori non concordavano con le mie aspettative. Ipotizzavano uno scenario deflattivo con un eccesso di offerta sistematico, crollo dei prezzi e carenza drammatica di clienti.

Quando operavo in borsa una regola ferrea che dovevo ricordare era che i prezzi non venivano determinati dalle mie aspettative ma dal mercato.

Quindi se le cose non andavano secondo le ipotesi non era il mercato che sbagliava ma io.

Indipendentemente dalle nostre opinioni l’unica cosa saggia da fare oggi è prendere atto della situazione e agire di conseguenza.

Non voglio parlare degli stessi argomenti che sentiamo tutti i giorni, in mille modi diversi, su tutti i media esistenti. Vorrei invece condividere con voi un “dietro le quinte” per capire cosa sta succedendo nel mondo dei preziosi e dei diamanti in particolare.

Si fa in fretta a dire “i prezzi salgono” per capire il motivo della salita, se è semplice speculazione o l’inizio di un trend duraturo, bisogna capirne le cause.

Il lato della domanda

La pandemia ha avuto (e avrà) conseguenze rilevanti. In occidente, causa lockdown e timori vari, si sono ridotte drasticamente le spese, i contributi dei governi hanno generato, almeno per una parte delle persone, un ulteriore surplus di denaro.

Le ricorrenze e i matrimoni, rinviati a periodi più “semplici”, sono state l’innesco dell’esplosione della domanda.

Appena possibile molti si sono buttati a capofitto sul mercato per recuperare il tempo perso.

Anche se parliamo di diamanti non dobbiamo dimenticarci che il mercato è composto da persone di ogni estrazione sociale, ciascuna con il proprio budget.

Questo ha causato un aumento della domanda su tutti i tipi di diamante, non solo i classici tagli rotondi “a brillante” ma anche i tagli smeraldo, ovale, princess, radiant e tanti altri.

Ma la domanda è selettiva: non si accettano più tagli fuori moda o mediocri, si esigono tagli di altissima qualità.

Oltre a essere cambiato anche l’approccio alla purezza delle gemme, ci si è finalmente accorti che non si può più transigere sulle qualità del taglio.

Pur di trovare la pietra perfetta per le proprie esigenze si cercano anche le purezze inferiori.

Il lato dell’offerta

Tutto questo ha rapidamente esaurito le scorte dei venditori finali.

Purtroppo l’offerta è rigida, perché la produzione si adegui serve tempo e non sempre è possibile farlo.

Negli scorsi anni i tagliatori si sono via via spostati verso pietre più grandi che garantivano loro un maggior reddito a parità di lavoro, perdendo purtroppo la manualità per tagliare le pietre più piccole.

Gli acquisti per ripristinare le scorte hanno gettato ulteriore benzina sul fuoco che scalda i prezzi ma questo indica anche un marcato ottimismo per il futuro.

Se fosse un fuoco di paglia i commercianti sarebbero felici di aver vuotato il magazzino e certo non avrebbero fretta di acquistare nuova merce!

Il mercato

Mentre il mercato americano cerca pietre di qualità medio bassa, almeno fino ai 2 ct, la Cina impazzisce per le pietre “triplo excellent”, ovvero quelle tagliate meglio.

L’unica azienda che è riuscita ad adeguare rapidamente la produzione è quella dei diamanti sintetici, con rialzi a 2 cifre ma prezzi in forte calo, come era prevedibile per qualsiasi bene industriale offerto a cascata sul mercato. Ne avevo già parlato a maggio e novembre del 2019.

Il mercato, come il covid, procede a ondate: il calo dei prezzi di marzo 2020 ha innescato acquisti speculativi, ma è la domanda a dare il reale impulso ai prezzi.

Che siano pietre piccole o grandi, perfette o di bassa qualità la domanda è esplosa in tutti i settori. Le fabbriche e miniere tuttavia non possono fisicamente farvi fronte nel breve periodo e molte neppure sembrano intenzionate a farlo nel medio.

Pensate al look Hip-Hop che spopola in America. Si vendono catene d’oro con incastonati da 20 a 50 ct. di diamanti a prezzi che variano da 3.000 a 20.000 $: ovviamente la qualità non può che essere molto bassa.

Ma i lotti che DeBeers vende, a prezzi sempre maggiori, contengono anche pietre di maggior qualità che fanno aumentare il prezzo medio che però i grandi marchi non vorrebbero pagare.

Ciliegina finale la chiusura della mitica miniera di Argyle che, oltre ai favolosi diamanti rosa, produceva anche 10.000.000 di ct. all’anno. Erano di bassa qualità ma ora sono richiestissimi e sono spariti dal mercato mentre nessuno può rimpiazzare l’offerta.

Il prezzi nel lungo termine

Questo è il vero punto della questione: il lungo termine. La storia dei diamanti è avventurosa, spesso travagliata ma i numeri non mentono.

Questo semplice grafico racchiude 37 anni di quotazioni Rapaport: indica l’aumento di valore per tre pietre “simbolo” da 1 carato.

La perfezione (D/IF, linea blu), l’alta qualità (F/Vvs2, linea rossa) e una buona qualità commerciale (H/Vs2, linea verde).

Prezzi dal 1985 al 2022

Mentre la perfezione è cresciuta solo del 66%, l’alta qualità ha capitalizzato un aumento del 170% mentre la qualità commerciale ha raggiunto un incredibile +210%.

Mentre state già pensando ai futuri utili che guadagnerete investendo in diamanti voglio farvi notare anche il periodo 2011 – 2019.

Le vicende economiche sono note e anche i diamanti ne hanno pagato lo scotto. A fronte di una sostanziale stabilità per le pietre commerciali quelle eccelse hanno patito un forte calo, non ancora recuperato.

Per questo vi parlo sempre di lungo periodo e di consulenza professionale: non esistono investimenti sicuri, esistono opportunità che, per diventare successi, necessitano della competenza di chi le propone e di orecchie ben aperte di chi le cerca.

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Paolo Genta

Scelte consapevoli

Scelte consapevoli

Le scelte possono essere difficili, la recriminazione è sempre in agguato, se poi le vogliamo anche consapevoli si apre il dilemma sulle conseguenze.

Le mie scelte

Il 3 settembre a Torino è scoppiato un incendio in un palazzo del centro. Quando ho visto le prime immagini mi è corso un brivido gelido lungo la schiena: l’edificio in questione era quello dove, 22 anni or sono, avevo aperto Coronado, la mia azienda.

Per prima cosa ho pensato alle persone che ancora conosco e che continuano a vivere e lavorare lì poi il brivido è diventato un immenso sollievo quando ho pensato alla scelta fatta, molti anni fa, di vendere la splendida sede per trasferirmi in Lungo Po.

Mi è costato vendere quell’immobile, lo avevo scelto con cura, ristrutturato integralmente per renderlo un ambiente accogliente, sicuro ed elegante dove incontrare i clienti, in altre parole me ne ero innamorato.

Purtroppo tra difficoltà di parcheggio per i clienti, zone a traffico limitato in espansione e imminente crisi immobiliare decisi di vendere e di ridimensionare la mia sede per limitare i costi.

Dopo l’incendio mi sono trovato a pensare di aver appena evitato un proiettile: cosa sarebbe successo se fossi rimasto in quell’edificio?

Dopo la crisi finanziaria del 2008, la conseguente crisi economica e la pandemia trovarsi bloccati, magari per mesi, prima del Natale poteva essere letale.

Quando cercavo la nuova sede avevo trovato uno stabile molto interessante ai piedi della collina di Torino, in piena ristrutturazione, perfetto per le mie esigenze.

Durante la trattativa il venditore ha commesso, a mio parere, il peggior errore possibile con un potenziale acquirente.

Serafico e un po’ supponente aveva affermato che il prezzo era quello, tanto lui lo avrebbe potuto vendere quando voleva.

Per un insieme di indizi e anche per questo commento sopra le righe, scelsi di rinunciare.

Ogni mattina passo davanti a quell’edificio, fermo da un decennio allo stesso punto dei lavori, disabitato e usato come magazzino edile dal venditore dell’epoca.

Rimpianti? No, grazie!

Cosa sarebbe successo se lo avessi acquistato e oggi mi trovassi con un ufficio in un cantiere perenne e disabitato?

Molte volte ho ripensato a queste scelte, senza mai rimpiangerle. Non che non avessi dubbi o che fossero scelte semplici ma avevo deciso al meglio delle mie capacità in base a tutte le informazioni che avevo raccolto.

Trovare tutte le informazioni rilevanti, decidere secondo logica e con attenzione non garantisce l’assenza di recriminazioni future ma aiuta molto!

Aiutare a scegliere

A volte i clienti sono in dubbio tra due o tre gemme e mi chiedono un parere. Dopo aver descritto pregi e difetti di ognuna la mia domanda finale è sempre la stessa: “Quale pietra l’ha colpita di più appena vista?”.

In questo caso è l’istinto a dover lavorare quindi se lo si lascia libero di solito si fa la scelta giusta.

Mi sono trovato anche sul fronte opposto, a dover “frenare” l’entusiasmo del cliente per un acquisto di diamanti.

Per quanto meravigliosi, preziosi e magici si parlava di un investimento e non di un regalo emozionale. Obbiettivi diversi esigono parametri di scelta diversi.

Nel mio lavoro la consulenza ha una grandissima rilevanza.

Anche se rischio di annoiare il cliente (e quindi di perderlo) per me è importantissimo capire esattamente i suoi obbiettivi, lo trovo addirittura più importante della vendita in se.

Spendo quindi molto del mio tempo per aiutare il cliente a fare la scelta migliore per ottenere cosa desidera.

Non posso garantire che il regalo sarà gradito o l’investimento un successo ma di certo, aiutandolo a effettuare scelte consapevoli, sposto molto l’ago della bilancia verso il successo.

Non ho un libro magico con tutte le soluzioni pronte e, per natura, diffido da chi si presenta come la miracolosa soluzione a tutti i miei problemi.

Credo invece nel dialogo, nel confronto e nella professionalità, valori spesso più preziosi delle gemme che vendo.

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Alla prossima,

Paolo Genta

Transizione

Transizione – Atto III

La transizione, oltre a essere l’argomento caldo del momento, è anche la più grande incognita per il futuro.

Può essere ecologica, digitale o sociale ma avrà comunque un forte impatto sulle basi stesse del commercio, anche nel mio settore.

È inutile nascondersi dietro un dito: la transizione, per quanto necessaria, ha dei costi che nessuno vorrebbe pagare.

Non vogliono pagarli gli stati perché sanno benissimo che la regolamentazione delle responsabilità spesso scoraggia lo sviluppo, aumenta i costi produttivi e non genera profitti.

Le imprese non vogliono ulteriori costi perché sanno quanto sarà difficile recuperarli e temono la concorrenza sleale.

I clienti, anche se favorevoli a prodotti socialmente e ecologicamente sostenibili, spesso non sono disposti a pagarne il maggior costo.

Transizione ecologica e responsabilità sociale

La transizione ecologica, a mio parere, è solo un aspetto della più complessa e ampia “responsabilità sociale”.

Tutto si giocherà sulla definizione di “buon prodotto”.

Un imprenditore attento ai clienti cerca sempre di offrire un buon prodotto ad un prezzo competitivo ma queste nuove esigenze cambieranno proprio il significato dell’aggettivo “buon”, ridefinendo il prodotto.

Aumentare la qualità di un prodotto significa aumentarne il costo e quindi il prezzo.

Alcuni clienti, per ottenere prodotti più sostenibili, accetteranno l’aumento, altri no.

Ecco perché nell’industria dei gioielli e particolarmente nell’estrazione dei diamanti la transizione passerà prima di tutto dalla razionalizzazione produttiva.

Si programma una minore offerta che sarà focalizzata sui clienti che accetteranno il prezzo più alto.

Alla fine i consumatori otterranno il livello di responsabilità sociale che saranno disposti a pagare.

Il commercio può certamente guidare la domanda verso prodotti migliori ma la decisione finale sarà sempre e solo dei consumatori.

Rispettare le regole o barare?

La transizione sarà molto complessa perché di fianco alle aziende che svilupperanno i buoni prodotti ce ne saranno altre che preferiranno i “cattiviprodotti, per lucrare sui minori costi.

Questo, alterando la concorrenza, creerà un effetto domino e spingerà altre aziende lontano dalla strada più virtuosa.

Il mondo dei gioielli sta lentamente costruendo catene di approvvigionamento “buone” e certificate che partano dalla miniera per arrivare al consumatore finale.

L’obbiettivo è riuscire a comunicare correttamente al cliente quali e quanti sono stati i miglioramenti del prodotto per essere così ripagati per aver seguito la strada virtuosa.

Premiare il buon comportamento

Questa è la base per un valore aggiunto socialmente responsabile.

È giusto poter dire al cliente che la pietra che desidera è stata scavata rispettando le leggi, che la taglieria dove è diventata una gemma non sfrutta i lavoratori, che il gioiello sul quale è montata è stato creato veramente da un artigiano italiano e non fatto in serie all’estero.

Tutti questi passaggi pur essendo giusti e doverosi hanno un costo. Se il cliente non accetterà di pagarlo l’azienda non potrà fare altro che abbandonare questa politica.

Transizione digitale

Nel mio settore, dal lato della produzione, è una realtà consolidata, ma è giusto estenderla anche alla vendita al consumatore finale?

Io non vendo solo un oggetto, fornisco anche le competenze necessarie per fugare i vostri dubbi.

Tramite un canale digitale posso incuriosirvi, spingervi all’acquisto ma sarà sempre il contatto diretto a fare la differenza per conquistare la vostra fiducia.

Questo perché sono una piccola realtà commerciale e, pur curando brand e marketing, mi concentro sulla sostanza del servizio ai clienti.

Per lo stesso motivo non vendo tramite Amazon: non ho la forza commerciale per negoziare commissioni che non siano un capestro (se siete curiosi qui le trovate tutte).

Il fatto che molti, dopo aver comprato sul web oggetti preziosi, si rivolgano a me e ad altri colleghi, per essere rassicurati sull’acquisto indica che in certi settori la transizione digitale non è un vantaggio per i clienti ma solo per alcuni venditori.

La transizione sarà buona o cattiva?

Come sempre non esiste una risposta univoca. Di sicuro sarà un’opportunità. Le aziende dovranno effettuarla, cercando di ottimizzare i costi senza scaricarli integralmente sui consumatori.

Per contro i consumatori dovranno scegliere se premiare le aziende virtuose o continuare a scegliere il prezzo più basso.

Un anno fa ho scritto un articolo sulla guerra degli sconti che, a mio parere, è valido anche per questa fase di mercato.

Nel prossimo articolo vi parlerò di quella che, secondo me, sarà la nuova normalità con i suoi pro e gli immancabili contro.

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Alla prossima,

Paolo Genta

Diamanti colorati

Il valore della perfezione

The Perfect Pallete diamonds (Christie’s). Questi magnifici diamanti colorati sono stati venduti pochi giorni fa durante la Christie’s Magnificent Jewels auction a New York.

Senza scendere troppo nel tecnico si trattava di tre diamanti dal colore unico, classificati Fancy vivid (la categoria migliore) con quotazioni decisamente elevate.

I prezzi stimati erano tra 2 e 3 milioni di dollari per il diamante blu (ct. 2.13) e circa 2,5 milioni l’uno per  i diamanti arancione (ct. 2,34) e rosa (ct.2,17).

Come è andata? Piuttosto bene direi!

Il blu è stato aggiudicato per 2,7 milioni, l’arancione per 2,2 milioni e il rosa addirittura per 3,5 milioni, superando del 40% la stima pre asta.

Questo conferma quanto avevo scritto nel mio articolo di gennaio sui diamanti colorati. L’interesse per queste splendide pietre non solo non si è mai sopito ma è in continua crescita, con una predilezione per i diamanti rosa.

Per quanto magnifici i diamanti gialli hanno già fatto molta strada e per il futuro non ci si aspetta una grossa crescita dei prezzi.

I diamanti blu invece, rarissimi e favolosi sono francamente inavvicinabili a meno di non disporre di un budget molto elevato.

Fortunatamente i diamanti rosa sono in piena corsa con grandi prospettive per il futuro.

Pur restando un mercato relativamente piccolo, visti i prezzi unitari, i diamanti colorati stanno soppiantando gradualmente i diamanti bianchi di grosse dimensione come scelta iconica e come diversificazione per i grandi investitori.

I diamanti bianchi sono sempre cercati ma quando si parla di cifre molto elevate l’interesse del mercato è chiaramente orientato verso il colore.

Perché? Forse la risposta è più semplice di quanto si pensi: perché si sono rivelati investimenti molto remunerativi.

Per noi comuni mortali, senza budget milionari, restano comunque aperte diverse opportunità.

Oltre ai diamanti bianchi che, se acquistati oculatamente, restano degli ottimi investimenti, il mercato del colore offre qualche opportunità per investimenti a lungo termine molto redditizi.

Cosa scegliere

Le cifre in gioco sono necessariamente più elevate poiché i diamanti colorati sono più rari di quelli bianchi e i prezzi lo riflettono ma sono più ampi anche i margini di rivalutazione sempre grazie alla loro rarità e alla domanda in costante aumento.

Il mercato del diamante non è un mercato mordi e fuggi, non è adatto alla speculazione veloce.

Se il vostro obbiettivo è fare un trading serrato per moltiplicare il vostro capitale il mercato dei diamanti non è quello che state cercando.

Investire in diamanti pensando che tra sei mesi per rifare il bagno vi basterà vendere una pietra per ripagarvi del lavoro significa sbagliare investimento.

Se invece volete pianificare un investimento a medio lungo termine che possa riservare piacevoli sorprese in futuro a voi e ai vostri figli allora le opportunità non mancano e sarei felice di illustrarvele.

Chiedere non costa nulla, non chiedere costa quanto un’opportunità mancata.

Alla prossima,

Paolo Genta

Diamante o brillante?

Diamante o brillante?

DIamante o brillante? Tutto inizia da questa domanda. Ho sentito le descrizioni più fantasiose. Per molti sono sinonimi, per altri differenziano le gemme preziose dal cristallo grezzo o addirittura da un falso.

Sgombriamo il campo dai dubbi.

Il diamante è il minerale, proprio quello pregiato che desiderate. Brillante indica invece come è tagliato cioè la sua forma che è rotonda con 57 faccette.

Sono 33 nella parte superiore (cintura e corona) e 24 in quella inferiore (padiglione). Si arriva a 58 se l’apice, la “punta” del diamante, è tagliato.

Quindi quando cercate un diamante rotondo per un gioiello state cercando un “diamante tagliato a brillante”.

Questa semplice confusione, peraltro legittima da parte del cliente, ha aperto un mondo nuovo.

Come  si può migliorare il taglio a brillante o identificare quelli fatti meglio?

Lo scopo legittimo è scegliere la miglior qualità possibile e cercare di guadagnare di più vendendo gemme più belle.

Negli anni molti hanno provato tagli nuovi, uno dei più famosi è il “Leo Cut”, con 66 faccette. Il taglio fu studiato per aumentare la dispersione della luce dentro la pietra (come l’arcobaleno) e farla brillare il più possibile.

Per quanto questo taglio, all’occhio dell’esperto, sia effettivamente superiore al taglio a brillante il maggior prezzo richiesto ne ha limitato la diffusione.

Il cuore del problema è proprio questo: tutti voglio la gemma perfetta ma chi decide cosa è perfetto? E, cosa non meno importante, siamo disposti a pagare la perfezione?

La perfezione ha un forte valore simbolico che rafforza l’idea stessa che abbiamo del diamante.

Io tuttavia invito sempre i clienti a riflettere bene su quale perfezione cercare:

  • Il massimo colore e purezza? D’accordo, ma suggerisco sempre di confrontare questa gemma favolosa con una appena inferiore per decidere se il 30/40% in più del prezzo richiesto vale la maggior bellezza.
  • La pietra tagliata meglio? Concordo con voi, un diamante più che grosso deve essere tagliato bene altrimenti farà una misera figura.

Gli istituti di certificazione (Igi, Gia, Hrd) giudicano taglio, simmetria e finitura del diamante, attribuendo per ogni categoria uno tra i 5 giudizi possibili: Poor, Fair, Good, Very good e Excellent, in italiano: Scarso, Giusto, Buono, Molto buono ed Eccellente.

Tralasciando il primo sembra logico pensare che “Giusto” sia già accettabile e “Buono” ampiamente soddisfacente.

Personalmente sconsiglio di scendere sotto “Molto buono” perché dietro questi giudizi si nascondono delle tolleranze di taglio ben codificate che distinguono una pietra mediocre (secondo la vostra percezione) da una molto bella o eccezionale.

Come spesso ripeto il cuore del mio lavoro è proprio questo: analizzare tutti i parametri di una gemma per fornirvi solo le migliori, non necessariamente le più care ma le più belle.

Naturalmente per fare questo ho dovuto studiare a fondo le pietre e le loro caratteristiche. Essendo anche un grande appassionato di gemme questo studio è stato piacevole, non certo un peso.

Tuttavia capisco che non tutti possano essere così appassionati o avere il tempo per questa preparazione ed ecco venire in loro soccorso le certificazioni.

Per i diamanti un certificato racconta tutto, a chi lo sa leggere.

Ecco perché una società americana si è inventata la certificazione “8X”. Ha deciso di classificare altri 5 parametri oltre quelli usuali usando la stessa scala di giudizi.

Questo nuovi parametri sono:

  • Brillantezza ottica: misura quanto brilla la pietra cioè quanta della luce che riceve torna ai nostri occhi
  • Fuoco: indica quando la pietra scompone la luce nei suoi colori, come l’arcobaleno
  • Scintillio: valuta quanto brillano le singole faccette della pietra mentre la si ruota
  • Simmetria ottica: giudica se le caratteristiche precedenti sono presenti da tutti i punti di vista
  • Cuori e frecce: Sono i disegni che si osservano in un diamante tagliato in modo perfetto. Se volete saperne di più leggete qui.

Lo scopo di questa nuova classificazione è di dare l’ambito giudizio “Excellent” solo ai diamanti che eccellono in tutte queste caratteristiche, ovviamente riducendo ulteriormente le tolleranze attualmente utilizzate.

L’idea potrebbe essere buona ma solo se non sarà usata per vendere molto cara una patente di eccezionalità per pietre che un buon professionista saprebbe già identificare.

In oltre vent’anni di attività ho venduto pietre anche molto belle ma, finora, nessuno mi ha chiesto un diamante perfetto sotto ogni punto di vista.

Questo può voler dire che i miei clienti non sono interessati a questo prodotto oppure che una classificazione così specifica è l’ennesimo tentativo di segmentare il mercato per incrementare gli utili.

Come sempre la risposta arriverà dal mercato, l’unico vero giudice implacabile.

Alla prossima,

Paolo Genta

Opportunità

Gli effetti della pandemia alla prova dei fatti.

La pandemia ci sta mettendo alla prova su molti fronti. Nell’immediato la salute è certamente il più importante ma quello economico è l’aspetto al quale siamo più sensibili, soprattutto nel medio e lungo periodo.

I punti di vista pessimistici abbondano quindi non mi sembra il caso di cercarne di nuovi, anche perché cercandoli ci sfuggono le soluzioni.

Il passato

Nel settore del lusso i diamanti e alcuni gioielli hanno sempre rivestito una duplice funzione: oltre ad appagare il senso estetico proteggono il capitale investito (se volete approfondire quest’ultimo aspetto leggete qui).

A fine marzo avevo scritto su diamanti e oro, suggerendoli come possibili soluzioni per i vostri investimenti in tempo di pandemia. Ho rimandando a fine aprile l’articolo sul terremoto del 20 marzo sulle quotazioni per valutarne gli effetti reali nel mercato.

oro da investimento

È vero che in tempo di crisi si deve essere tempestivi nelle scelte ma, a mio parere, prendersi il tempo per valutare le reali conseguenze delle mille ipotesi che sentiamo è altrettanto importante.

Tra le ipotesi, come nell’articolo di giugno, sugli effetti dei miliardi stanziati, e le analisi, con l’articolo di agosto sugli sconti sui diamanti, siamo arrivati al temuto autunno.

Il futuro

Adesso abbiamo l’opportunità di giocare di anticipo dando uno sguardo al futuro.

A ottobre Sotheby’s ci offrirà una prova molto importante sulla solidità del mercato dei diamanti: manderà in asta ad Hong Kong un diamante ovale, perfetto (D / Flawless) del peso di 102.39 ct, senza prezzo di riserva. (Fonte: Diamonds.net).

Durante una pandemia questo sembra un dettaglio da poco ma, in realtà, è una rivoluzione epocale.

Il prezzo di riserva in un’asta serve per proteggere il venditore da offerte troppo basse, garantendogli di non svendere il proprio bene.

Fino ad oggi solo 8 diamanti oltre i 100 ct e con queste caratteristiche sono stati battuti all’asta, offrire quindi una simile rarità senza una garanzia di prezzo indica una forte fiducia nel mercato.

La famosa casa d’aste ha espressamente dichiarato che, vista la resilienza della domanda in questi mesi, è ora di lasciare la parola al mercato e ha aggiunto che questo tipo di aste suscita interessi ben superiori al tradizionale gruppo di collezionisti.

Proprio questa ultima affermazione, lanciata quasi per caso nel discorso, mi ha fatto riflettere molto.

Se consideriamo che presto ci sarà anche la penultima asta di diamanti rosa prima della chiusura della miniera di Argyle (prevista per fine anno, ne parlavo qui), il quadro inizia a chiarirsi.

L’opportunità

Beyond Rare It’s a trademark of Rio Tinto London Limited

Anche se stiamo affrontando una pandemia, una recessione globale e i problemi sembrano accumularsi all’infinito la luce in fondo al tunnel esiste, per alcuni sotto forma di diamanti rari e splendidi, sui quali investono cifre considerevoli certi del guadagno futuro.

Anche se non si è miliardari o non si possiede una multinazionale si può usare il loro metodo, che resta valido: pregio e rarità pagano, sempre.

In questi mesi ho osservato con apprensione cosa accadeva sui mercati perché, anche se sono un ottimista, sono consapevole che il mercato è sovrano quindi se lui parla io devo ascoltarlo.

Quello che ho sentito non solo mi ha tranquillizzato ma mi fa ben sperare per il futuro: i prezzi dei diamanti bianchi sono rimasti stabili (alcuni sono addirittura cresciuti) e i diamanti colorati stanno continuando la loro crescita, quasi indifferenti alla crisi.

Il rischio

La differenza invece l’ho notata nell’atteggiamento dei clienti: in Italia domina ancora la paura e tutto sembra congelato.

Un conto è la prudenza, che apprezzo sempre, un altro è il panico che ci paralizza impedendoci di agire.

Mentre all’estero, principalmente in nord Europa, il mercato dei diamanti dimostra un buon livello di attività in Italia sembra che nessuno sia disposto a fare il primo passo.

Se prima dell’estate ero propenso a credere che le difficoltà economiche causate dalla pandemia fossero le responsabili dopo aver contato i cartelli “chiuso per ferie” e visto i telegiornali mi sono convinto che il problema fosse un altro.

Temo che molti connazionali siano vittime dell’inerzia e che tutti aspettino che sia qualcun altro ad agire per primo.

Purtroppo questo atteggiamento è letale quando si cercano nuove opportunità perché blocca il processo decisionale. Dietro la scusa del rischio presunto in realtà si cela o la scarsa voglia di informarsi o la bassa qualità dell’informazione fornita.

La soluzione

Scrivo solo quando ho qualcosa da dire perché ho scelto di fornire informazioni verificate che siano utili. Le opportunità ci sono ma coglierle dipende da voi. Il mio compito è analizzarne al meglio pregi ed eventuali difetti.

Tocca a voi agire, una chiacchierata su queste splendide gemme non vi costa nulla e potrebbe esservi molto utile.

Il primo passo lo faccio io: iscrivetevi alla newsletter e vi terrò sempre aggiornati su queste e altre novità.

Alla prossima,

Paolo Genta

Denaro e pandemia

Pandemia: il mondo che verrà

Gli ultimi tre mesi ci hanno travolto, abbiamo dovuto metabolizzare la pandemia e tutti dovremo affrontarne le conseguenze.

A fine marzo scrissi un articolo su un ipotetico scenario post pandemia e su come affrontarlo.

Dopo un mese alcune mie ipotesi sembrano ricalcare la realtà mentre per altre servirà più tempo per testarne la validità.

In sintesi mi aspettavo uno scenario inflattivo dovuto alla valanga di denaro immessa nell’economia e suggerivo l’acquisto di beni rifugio, come oro e diamanti, per proteggere i propri risparmi.

Lo stop lavorativo mi ha permesso di fare qualche ricerca in più per capire se queste ipotesi fossero solo il frutto del pessimismo dilagante o se esistessero reali motivi di preoccupazione.

È un argomento tecnico e molto noioso. Cercherò di renderlo più interessante con qualche esempio e un pizzico di ironia.

Quanto denaro esiste?

Nel 2002 l’Europa aveva in circolazione, tra monete e banconote, 234 miliardi di Euro. Oggi sono circa 1.308.

Normalmente un simile aumento si rifletterebbe sui prezzi: se oggi una mela costa 1 € e la valuta in circolazione raddoppia, la stessa mela costerà 2 €.

Gli economisti usano aggregati statistici per calcolare il denaro in circolazione, includendo anche i soldi virtuali come i conti correnti, i crediti e i debiti, i prestiti delle banche centrali.

Credetemi sulla parola, negli ultimi 18 anni tutti questi valori si sono più che quadruplicati quindi oggi il denaro dovrebbe aver perso circa i tre quarti del potere di acquisto rispetto al 2002.

Qual è il problema?

Dal 2002 l’inflazione media è stata dell’1,6%, addirittura inferiore all’obiettivo della BCE del 2%. In altre parole il nostro denaro ha perso circa un terzo del suo potere di acquisto. Un terzo contro tre quarti: qualcosa non torna.

Vi chiedo ancora una volta di credermi sulla parola: non c’è stato un aumento della domanda tale da giustificare, neppure parzialmente, l’aumento di denaro creato.

Come funziona il sistema?

Con l’euro l’unica banca centrale da considerare è la BCE. I suoi compiti sono gestire l’euro e la politica monetaria europea. La stabilità dei prezzi è sempre stato il suo obbiettivo principale.

Per fare il suo lavoro la BCE crea moneta e la presta, in cambio di un interesse, agli Stati membri.

Negli anni questi soldi sono stati usati per “rifinanziare” diverse operazioni secondo uno schema curioso: più della metà sono stati impiegati per rimpiazzare debiti pregressi e i rimanenti sono finiti in titoli di stato (di nuovo debiti pregressi).

La BCE effettua un prestito permanente agli stati e le banche tengono nelle riserve quanto dovrebbero distribuire.

Se si ripaga un debito si hanno meno soldi da spendere quindi, a livello globale, si possono comprare meno prodotti e i prezzi scendono. È lo scenario deflattivo.

Se invece ripago un debito facendone un altro più grosso in teoria posso usare questo denaro in più per acquistare merci e servizi e il loro prezzo cresce. È lo scenario inflattivo.

In pratica le banche non amano il rischio e per questo tengono in cassa il surplus.

Ma siccome le banche possono detenere le riserve in euro solo presso la BCE questi depositi vengono tassati (attualmente dello 0,5% annuo) per “stimolare” le banche a distribuirli nel sistema economico.

Solo i contanti e i titoli denominati in euro sfuggono a questa tassa: ecco servita la bolla finanziaria.

La gestione dei contanti è un costo rilevante per le banche, molto meglio comprare titoli a mani basse.

Alcuni paesi si sono inventati i mutui casa a tassi negativi: compri casa oggi con i nostri soldi e ne restituisci di meno domani.

Casualmente in Italia è vietato per legge (art. 1813 c.c.).

Il famoso Quantitative easing altro non è che un acquisto di migliaia di miliardi di euro di debiti degli Stati.

E in Italia?

Il debito italiano è per il 20% in mano alla BCE, il 40% è presso banche italiane e dell’area euro mentre il 35% è detenuto da banche extra europee.

Se l’Italia non potesse contare su questo sistema fallirebbe senza scampo, per il semplice motivo che continua a finanziare il proprio debito con altro debito.

Voi comprereste i titoli di una società che ha debiti pari a 5 volte il suo fatturato annuo? Nel 2019 le entrate tributarie sono state di 471,6 miliardi di euro (1), il debito era di 2.409,2 miliardi (2).

Restiamo a galla perché il sistema è obbligatorio e perché, piuttosto che fallire, gli stati sbranano l’economia.

Quali sono le conseguenze per noi?

Di fatto la BCE regala soldi agli Stati. Gli Stati usano questo e altro denaro per coprire i loro costi e pagare le pensioni. I dipendenti pubblici e i pensionati acquistano beni e servizi.

Se i servizi ottenuti dallo Stato crescono in proporzione al denaro creato per noi cambia poco ma, purtroppo, questo non è successo.

In Italia il settore pubblico copre il 45% dell’economia ma molti parametri che lo riguardano non rientrano nel calcolo dell’inflazione.

Così l’aumento del 100% nel costo delle prestazioni sanitarie avvenuto negli ultimi 15 anni sparisce dai conti ma continua a esistere.

Dal 2002 al 2017 il Pil è aumentato del 17%, le tasse del 62%. Il costo dello Stato è aumentato ben più della ricchezza che avrebbe dovuto generare ma di questo non c’è traccia nell’inflazione dei prezzi al consumo.

Tutto questo denaro, anche se filtrato dallo Stato prima o poi arriva sul mercato e genera inflazione.

2015 – 2019

In questi anni molti beni, grazie al progresso sono calati di prezzo (a livello aggregato): comunicazioni e informatica, per esempio, hanno visto una deflazione tra il 5 e l’8%. Altri beni, essenziali e di prima necessità invece sono cresciuti del 5 – 8% (cibo, trasporti, utenze, ristoranti, assicurazioni), o del 10 – 13% (banche e poste, alcolici e tabacco) fino a un 22% per gli oneri amministrativi.

Tutto questo per raggiungere l’obbiettivo medio del 2% di inflazione annua.

Sembra poco ma vuol dire che se oggi con 100 € compro 100 panini tra 20 anni ne potrò comprare solo 66.

I soldi che risparmio oggi, se non li tutelo, quando mi serviranno per il giusto riposo pensionistico saranno tragicamente insufficienti.

Conseguenze dell’inflazione

Quando c’è inflazione siamo incentivati a consumare piuttosto che a risparmiare. Stati e banche centrali considerano buona e utile l’inflazione, per questo si impegnano a sostenere i consumi.

Purtroppo stampare pezzi di carta con sopra scritto “Euro” o crearli elettronicamente non fa magicamente aumentare i prodotti disponibili.

Questi si costruiscono solo con la ricchezza accumulata, proprio con quei risparmi che abbiamo visto calare così tanto in questi anni.

Non basta risparmiare per poter investire ma senza risparmio è impossibile farlo.

Chi avrà prodotto più del necessario potrà scambiare il surplus con beni che potranno migliorare la sua condizione.

La speculazione

Oggi chi ha dei risparmi li da in gestione a un professionista perché li faccia fruttare non solo per compensare la svalutazione ma anche per farli lavorare al proprio posto.

Questa scelta oggi non è più facoltativa ma obbligatoria. Si deve investire altrimenti ci ritroveremo con un pugno di mosche.

Il risparmio però è gestito in monopolio dalle banche che lo moltiplicano svariate volte con diversi strumenti e speculano sul mercato. Ecco la bolla!

Finché regge le banche fanno fortuna, quando scoppia interviene lo Stato con aiuti a pioggia e il cerino resta all’investitore.

Svalutazione e competizione

Stampare moneta per svalutarla e così riuscire ad essere più competitivi è, semplicemente, una scemenza.

Rendere la propria moneta debole per vendere i propri prodotti all’estero equivale a regalare parte del nostro lavoro all’estero privandoci della possibilità di acquistare i beni degli altri.

La Germania è riuscita a diventare quello che è oggi perché è riuscita a produrre meglio, di più e a prezzi inferiori anche con un marco forte.

Riuscire a vendere all’estero solo con la svalutazione è una misura assistenziale che può sparire, dalla sera alla mattina, per una decisione politica condannando a morte chi campava grazie a lei.

Un po’ come hanno fatti gli europei secoli fa pagando pellicce e spezie con perline e conchiglie: oggi è chiaro che stavamo depredando le economie più deboli grazie alla svalutazione.

Perché lo accettiamo?

  • I cambiamenti sono graduali e preferiamo adattarci piuttosto che reagire. Solo quando è troppo tardi ci accorgiamo che non possiamo più reagire
  • La maggioranza degli elettori con le proprie tasse non paga neppure la propria assistenza medica. Sono consumatori e non produttori di ricchezza. Condivido il principio di solidarietà che vi è alla base ma le loro scelte non sono necessariamente le migliori per la società.
  • I pensionati sono, di fatto, dipendenti dello stato. I loro contributi sono stati consumati dall’Inps e non investiti.
  • L’apparato pubblico indirizza sussidi verso un settore specifico per generare consenso ma ne spalma i costi sull’intera popolazione.
  • La comunicazione su questi argomenti è lacunosa, spesso distorta e strumentalizzata. Si arriva ad invocare l’intervento dello Stato per rimediare ai danni fatti dallo Stato.
  • Di fatto innovazione e globalizzazione hanno permesso una crescita del tenore di vita mascherando i danni del sistema pubblico.

Oggi

Questa carrellata sulla nostra storia economica non serve per spaventarvi, vuole spingervi ad agire.

È tardi per affrontare il passato ma se considerate la quantità spaventosa di denaro stanziata per affrontare le conseguenze della pandemia e che queste conseguenze non saranno certo migliori di quelle passate allora è chiaro perché si debba agire subito.

Per spezzare il circolo vizioso bisognerebbe investire nel tessuto economico reale e non solo in finanza speculativa, scegliere beni rifugio reali, ad esempio oro e diamanti, e non i derivati costruiti su di essi, smetterla di fare debiti sempre più grandi per pagare quelli precedenti credendo che l’avanzo sia ricchezza guadagnata.

Io mi occupo di una piccolissima parte di questo scenario, quella relativa ai diamanti e all’oro. Non sono certo le uniche soluzioni possibili ma, nei secoli, si sono dimostrati ottimi alleati delle persone previdenti.

Se volete costruire un piano personalizzato contro le conseguenze economiche della pandemia, posso offrirvi i migliori prezzi e garanzie nel mercato dei diamanti e dell’oro.

Alla prossima,

Paolo Genta