Sanzioni: quanto ci costano davvero?
Le sanzioni sono un argomento scottante. Sono diventate la bandiera per schierarsi in questa tragica situazione.
Alcuni le reputano totalmente inutili contro un gigante come la Federazione Russa, altri le vorrebbero totali per stroncare le fonti di finanziamento della guerra, infine ci sono persone che vedono nelle sanzioni una pericolosa provocazione verso una nazione assai aggressiva.
Messe da parte le mie opinioni sull’efficacia finora dimostrata dalle sanzioni ho potuto studiare meglio le conseguenze per noi sui mercati di oro e diamanti.
L’oro
L’argomento più recente riguarda l’oro: come sappiamo le borse si muovono sulle notizie quindi anche se manca ancora l’ufficialità su tempi e metodi per l’embargo dell’oro russo il mercato ha già usato le parole di Erich Maria Remarque per dare il suo parere: “Niente di nuovo sul fronte occidentale”.
A parte un’oscillazione in apertura, inferiore all’1%, l’oro prosegue il suo cammino apparentemente insensibile alle sanzioni.
Nelle prime due settimane del conflitto l’oro ha ripetuto i massimi del luglio 2020 per poi ripiegare di oltre il 10% arrivando a testare il supporto del luglio 2011: quei 59 $/g che hanno segnato la fine della prima corsa all’oro iniziata nel 2003.
Come si può vedere dal grafico sembra che le conseguenze delle sanzioni sull’oro russo, almeno per chi le ha imposte, siano nulle.
Non dimentichiamoci poi che i media amano cavalcare l’onda delle notizie ma spesso arrivano fuori tempo.
Le autorità sono attive sin da marzo per bloccare i capitali russi in fuga. La Svizzera, per esempio, vieta la commercializzazione del metallo russo dal 7 marzo 2022 e a maggio ha sequestrato tre tonnellate del prezioso metallo triangolate dal Regno Unito ma di provenienza russa.
Divieti simili sono stati posti mesi fa anche dal London Bullion Market ma, al solito, “fatta la legge trovato l’inganno”: adesso pare che sia Dubai la piazza di transito per aggirare i divieti.
I diamanti
Per il mondo dei diamanti invece pare che il problema sia quantificabile in 31,5 milioni di dollari.
Questo è quanto Alrosa, gigante minerario russo, non pagherà l’anno prossimo al Natural Diamond Council (NDC) come conseguenza diretta delle sanzioni sui diamanti.
L’NDC è un ente, finanziato da De Beers, Lucara Diamond Corp., Arctic Canadian Diamond Company, Petra Diamonds, Rio Tinto e altri che ha il compito di promuovere i diamanti naturali sul mercato tramite mirate campagne di marketing.
A quanto pare l’unico problema sarà coprire il budget, per il 2023, per la promozione dei diamanti naturali presso il pubblico.
Certamente è un problema da risolvere ma non mi sembra così grave da affossare il mercato.
Il mercato
Come scrivevo a marzo la domanda di diamanti ha raggiunto e superato i livelli del 2019 ma i prezzi rimangono stabili, almeno in dollari, mentre per noi europei sono saliti a causa della rivalutazione del dollaro.
Al momento il mercato riesce a gestire la forte domanda ma la situazione non sarà sostenibile a lungo.
Anche perché i prezzi di tutti i materiali sembrano impazziti e, siamo sinceri, non certo a causa della guerra o delle sanzioni.
La speculazione
Basta analizzare il “sangue” della nostra economia: il petrolio.
Nella prima metà del 2008 costava circa 114 € al barile (180 $ al cambio di 1.57) mentre oggi costa 104 € al barile (110 $ al cambio di 1.05).
In compenso il gasolio che nel 2008 costava 1.3 €/l, oggi costa 2,04 €/l (2.54 se includiamo lo sconto sulle accise).
Davvero è una conseguenza della guerra?
A fronte di un calo del petrolio del 5.5% come fa il gasolio ad essere aumentato del 57% (del 95% senza lo sconto)?
Non sono mai stato un complottista ma, rileggendo l’articolo di due anni fa, è difficile non notare un collegamento.
Poche settimane fa guardavo sui social commenti inviperiti di clienti che maledicevano i produttori di pasta.
Pastai che prima dichiaravano di usare solo grano duro italiano si lamentavano della scarsità di materie prime a causa del blocco del grano ucraino.
Non uno si è posto il problema che l’Ucraina pesa, sull’export mondiale di grano duro, poco più del 2% (idem la Russia).
L’Italia dipende per il 46% dal Canada, l’8% dalla Grecia, il 7% da Francia e Usa, il 3% dal Kazakistan.
Il prezzo del grano è esploso a causa dei problemi delle coltivazioni in Canada e dell’aumento dei costi di trasporto.
Di nuovo guerra e sanzioni non c’entrano nel discorso.
Come difendersi
Come notate è importante saper distinguere la realtà da come ci viene presentata, saper riconoscere l’inizio di un trend da una bieca manovra speculativa, scegliere le soluzioni che meglio si adegueranno alle nostre esigenze future.
È bastato il semplice annuncio (nessuna decisione, solo un annuncio) da parte russa della possibilità per l’Ucraina di esportare grano dai porti occupati per far tornare i prezzi indietro di due mesi.
In un contesto così turbolento sono felice che i diamanti seguano l’unica legge di mercato che trovo corretta: i prezzi devono basarsi su domanda e offerta, non su paura e speculazione.
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Alla prossima,